E ciò che facciamo dal primo momento di vita fino all’ultimo.
Eppure in questo momento è proprio il respiro a non essere più scontato, ad essere messo alla prova in ogni modo.
Dalla malattia, dalla normativa, dalla paura.
Il virus prende di mira soprattutto il sistema respiratorio.
Anche i presídi che ci tutelano sono dei filtri del respiro e quando incontriamo qualcuno anche senza volerlo il nostro respiro sembra diventare più superficiale, inibito, bloccato.
Al respiro anziché la vita sembra essere associata alla morte.
Anziché essere fonte di energia vitale, di prana, lo temiamo perché può essere veicolo di malattia.
Uscire di casa e respirare a pieni polmoni sembra impensabile, è un’ipotesi può innescare le nostre paure più profonde.
In questo periodo dunque la pratica del pranayama assume un aspetto particolarmente significativo, sia perché ci permette (ovviamente preceduto e preparato da asana), di espandere e tonificare il nostro sistema respiratorio sia perché in questo modo possiamo riconciliarci con la manifestazione stessa della vita, e per la sua azione equilibrante del mentale.
Ancora più di sempre è importante che venga preceduto da una pratica di asana che renda il corpo *disponibile* a respirare e la mente predisposta ad un’attitudine di shraddha, di fiducia e di apertura che permetta una visione e una percezione del respiro come relazione Vitale con l’universo. Nella ricerca sottile di lasciarsi respirare ad essere così in relazione con l’esterno percependo noi e l’ambiente, con tutto ciò che contiene, come un unico organismo vivente.
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