


Forse in questo periodo è stato possibile vivere più in profondità quel senso della parola “unire” che proprio rappresenta lo yoga.
Unire corpo e mente, che è la cosa più grande, ma anche la più basilare; la sincronia che dà lo yoga porta proprio ad unire azioni con non azioni, sentendo che il pensiero è tutt’uno con la percezione anche delle parti più infinitesimali del proprio corpo, tutt’uno è interno ed esterno.
E mentre situazioni esterne così gravi e contingenti ci portavano a sentire le cose più essenziali della vita, mentre lo spazio esterno si riduceva in un ambito sempre più privato, abbiamo toccato con mano la possibilità, insieme al rivalutare tempi e spazi lenti, di mantenere una continuità e un’unione attraverso il trovare ritmi personali che avevano un senso particolare proprio perché si univano ad un ritmo di gruppo.
Certo non era un gruppo di contatto corporeo ma il contatto circolava attraverso la maestra.
Non è per incensarla, ma penso che questo riferimento costante che lei ci ha dato è stato particolarmente significativo in un momento in cui si poteva maggiormente vivere un privato, ma questo privato rischiava di far chiudere dentro un cerchio auto-diretto. L’angoscia dell’esterno che ha fatto trovare conforto, per chi ha potuto, dentro spazi di relazione molto intima, rischiava di far perdere il senso delle relazioni esterne. La maestra, proprio per il suo ruolo, costituisce una mediazione fra un rapporto familiare-privato e una relazione esterna; la maestra che di intimo ha la guida, la conoscenza e la conduzione senza entrare nel personale, ci ha dato la possibilità di mantenere una continuità di scadenze esterne nel nostro guscio.

E il poter sperimentare come la pratica, cosi difficile solitamente da mantenere in continuità, potesse avere un senso particolare proprio attraverso il ritmo quotidiano è stata una bellissima esperienza.
Inoltre rispetto alle relazioni io ho avuto la situazione fortunata di poter praticare insieme a Gianni, mio marito.
Di solito abbiamo avuto sempre una certa autonomia in alcune cose, e lo yoga era una di queste. Ma nel momento in cui sperimentavamo una vicenda di unione particolare, uniti ancor di più dall’emergenza, la condivisione dello yoga non ci ha tolto autonomia. Abbiamo vissuto il fare insieme ma con la consapevolezza di una diversità nel vivere le cose e l’autonomia era proprio nel poter stare accanto, in due spazi di pensiero e di sensazioni vicini ma non compenetrati l’uno nell’altro.
Compenetrazione e distinzione, attenzione e lasciarsi andare ai propri pensieri…. Per me è stato importante sperimentare attraverso sé stessi e il proprio corpo quello che è stata la base anche nel mio lavoro, dove nel rapporto terapeutico l’“attenzione fluttuante” consente di entrare in uno speciale rapporto sincronico con l’altro.
Claudia F.
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